Fino a pochi anni fa non ne conoscevamo neppure l’esistenza, ancora oggi non sappiamo ancora pronunciarne il nome, eppure il pokè è uno dei piatti più fotografati, cucinati, ordinati e mangiati degli ultimi anni. Da New York City a Dubai, da Amsterdam a Milano, è un vero trend globale! Lo chiamiamo pokè, con l’accento, per intendere una ciotola di riso bollito sormontata di pesce crudo, verdure, frutta e salse. In realtà si legge “pok-ei”: significa, letteralmente, «a pezzetti» ed è un piatto tipico delle Hawaii. O almeno, lo era.
Hawaii: terra di contaminazioni culturali
Bombardamento di Pearl Harbour a parte, le Hawaii non erano mai state così famose. Queste isole sperdute a 4mila km dalla terra ferma, nel mezzo del Pacifico, sono state note alle cronache solo come meta di vacanze da sogno, paradiso tropicale popolato di surfisti abbronzati. Ora sono uno degli Stati più citati della gastronomia contemporanea e il merito è solo in parte dei nativi hawaiani, che hanno mangiato per secoli pesce crudo tagliato a pezzetti, mischiato ad alghe chiamate limu e cosparso di inamona, noci di Kukui arrostite e sminuzzate.
Questa ricetta oggi è conosciuta come limu poke e fondamentalmente la si mangia poco in patria, praticamente da nessuna parte all’estero. Prima di diventare il 50esimo e ultimo stato degli Stati Uniti d’America, le Hawaii sono state infatti porto di approdo per i navigatori di Polinesia, Portogallo, Corea, Giappone, Cina e Filippine. Si sono fermati in tanti e visto che la cucina è solo lo specchio della società, hanno fatto di una terra isolata, un crocevia di influenze e migrazioni, usi locali e globalizzazione culinaria; pokè in primis. Già dal secolo scorso, della ricetta originale era rimasto ben poco.
Dal Giappone con furore
Sono stati i giapponesi a sostituire i condimenti classici con salsa di soia e olio di sesamo, tanto da rendere il Shoyu poke il più diffuso, spiega la scrittrice hawaiana Martha Cheng nel suo libro “The Poke Cookbook”. Al pesce bianco hanno preferito il tonno, creando l’Ahi poke, e nel tempo gusti come il dolce, l’agrodolce, l’acido e il piccante, spezie e altri ingredienti sono stati assimilati in un melting pot unico. Anche il riso è arrivato così, frutto della contaminazione con la cucina asiatica e con piatti tipo il chirashi o il donburi giapponesi, in cui pesce crudo, o carne, vengono adagiati su grandi ciotole di riso e mangiati con le bacchette.
Il segreto del successo: perfetto per i franchising
Se il pokè ha fatto il giro del mondo è merito sicuramente di Sam Choy, celebrity chef che per primo negli anni Novanta ha dato vita a un movimento di riscoperta della cucina del Pacifico ma, soprattutto, degli imprenditori che hanno intuito il potenziale del pokè: buono, colorato, sano, economico, replicabile in mille combinazioni, senza neppure bisogno di una cucina o di cuochi per farlo. La formula perfetta per un fast food in frachising di successo.
Il pokè è atterrato prima sulle spiagge di Los Angeles con i surfisti di ritorno e poi, nella patria del California roll, dell’avocado toast e della maionese, si è evoluto fino a diventare quello che conosciamo oggi. Come ogni food trend negli ultimi dieci anni, ha consacrato il suo successo a New York, e da lì è rimbalzato nel resto del mondo!