De gustibus non est disputandum, dicevano i latini. Ovvero: dei gusti non si discute, perché ciascuno ha i propri ed essendo soggettivi vanno accettati come tali, senza metterli in dubbio. In dubbio forse no, ma sotto la lente oggettiva della scienza, sì. La domanda da porsi, allora, è: gusto e DNA sono correlati? La risposta? Sì e no.
Nel 1931 il chimico Arthur Fox sparse accidentalmente nell’aria un po’ di polvere di feniltiocarbammide (PTC), una sostanza con cui stava lavorando. Il suo collega di laboratorio, presente in quel momento, commentò che la polvere aveva un gusto amaro, cosa che stupì decisamente Fox il quale, invece, non riusciva a sentire nulla. Incuriositi da questa casualità, i due decisero di condurre un esperimento tra i loro conoscenti per verificare chi, e in che misura, fosse in grado di rilevare il sapore del feniltiocarbammide. La loro indagine confermò quanto avevano avuto modo di testare da soli, ovvero l’esistenza di un’ampia differenza di percezione tra i vari soggetti coinvolti, scoperta che aprì la strada agli studi scientifici in materia di genetica del gusto. Oggi sono molteplici le ricerche che hanno verificato la teoria espressa da Fox, ampliando notevolmente la nostra conoscenza del senso del gusto e del suo funzionamento che è determinato in particolare da DNA, ambiente e cultura.
Molto dipende dai condizionamenti che riceviamo da piccoli. Infatti, più la dieta è variata fin da bambini, più si sapranno apprezzare cibi con caratteristiche organolettiche diverse da adulti. L’influenza inizia già fra i 2 e i 5 mesi di vita: il latte materno, infatti, cambia sapore a seconda di ciò che mangia la mamma. Ed è stato dimostrato che i gusti che si imparano ad apprezzare da lattanti saranno poi ricercati da grandi.
Nei nostri gusti personali c’è però anche una componente genetica. La stanno studiando, a Trieste, i genetisti dell’Istituto Burlo Garofolo, che nel 2010 hanno compiuto un viaggio di 14.000 chilometri lungo la Via della Seta per cercare, nelle popolazioni locali, caratteristiche genetiche legate al gusto degli alimenti tipici. Raccogliendo il DNA di 700 rappresentanti di 22 comunità, hanno così scoperto che i geni che aumentano la percezione del gusto amaro sono distribuiti in modo diverso. In Pamir, per esempio, il 37% delle persone non tollera l’amaro, una quota molto superiore a quella europea che è del 7-15%. Le variazioni genetiche causano quindi variazioni fisiche ed è per questo che le persone sentono i sapori in modo anche molto diverso tra loro.
Per quanto si possa cercare di condizionare il consumo di cibo attraverso l’educazione e la razionalizzazione, rimane però il fatto che il gusto è anche piacere e soddisfazione sensoriale: chiunque di noi tenderà sempre a privilegiare un certo di tipo di alimentazione a scapito di un’altra.